domenica 27 aprile 2008

Nevina e Fiordaprile

C’era una principessa chiamata Nevina che viveva sola col padre
Gennaio.
Lassù, nel candore perpetuo, abbagliante, inaccessibile agli uomini,
il Re Gennaio preparava la neve con una chimica nota a lui solo; Nevina la
modellava su piccole forme tolte dagli astri e dagli edelweiss; poi, quando la
cornucopia era piena, la vuotava secondo il comando del padre ai quattro punti
dell’orizzonte. E la neve si diffondeva sul mondo.
Nevina era pallida e
diafana, bella come le dee che non sono più: le sue chiome erano appena bionde,
d’un biondo imitato dalla Stella Polare, il suo volto, le sue mani avevano il
candore della neve non ancora caduta, l’occhio era cerulo come l’azzurro dei
ghiacciai.
Nevina era triste.
Nelle ore di tregua, quando la notte era
serena e stellata e il padre Gennaio sospendeva l’opera per dormire nell’immensa
barba fluente, Nevina s’appoggiava ai balaustri di ghiaccio, chiudeva il mento
tra le mani e fissava l’orizzonte lontano, sognando.
Una rondine ferita che
valicava le montagne, per recarsi nelle terre del sole, era caduta nelle sue
mani, che avevano tentato invano di confortarla; nei brividi dell’agonia la
rondine aveva delirato, sospirando il mare, i fiori, i palmizi, la primavera
senza fine. E Nevina da quel giorno sognava le terre non viste.
Una notte
decise di partire. Passò cauta sulla barba fluente di Gennaio, lasciò il
ghiaccio e la neve eterna, prese la via della valle, si trovò fra gli abeti. Gli
gnomi che la vedevano passare diafana, fosforescente nelle tenebre della
foresta, interrompevano le danze, sostavano cavalcioni sui rami, fissandola con
occhi curiosi e ridarelli.
- Nevina!
- Nevina! Dove vai?
- Nevina,
danza con noi!
- Nevina, non ci lasciare!
E gli Spiritelli benigni le
facevano ressa intorno, tentavano di arrestarle il passo abbracciandole con
tutta forza la caviglia, cercavano di imprigionarle i piedi leggeri entro rami
d’edera e di felce morta.
Nevina sorrideva, sorda ai richiami affettuosi,
toglieva dalla cornucopia d’argento una falda di neve, la diffondeva intorno,
liberandosi dei piccoli compagni di gioco. E proseguiva il cammino diafana,
silenziosa, leggera come le dee che non sono più.
Giunse a valle, fu sulla
grande strada. L’aria si mitigava. Un senso d’affanno opprimeva il cuore di
Nevina; per respirare toglieva dalla cornucopia una falda di neve, la diffondeva
intorno, ritrovava le forze e il respiro nell’aria fatta gelida subitamente.
Proseguì rapida, percorse gran tratto di strada.
Ad un crocevia sostò in
estasi, con gli occhi abbagliati.
Le si apriva dinnanzi uno spazio ignoto,
una distesa azzurra e senza fine, come un altro cielo tolto alla volta celeste,
disteso in terra, trattenuto, agitato ai lembi da mani invisibili. Nevina
proseguì sbigottita. La terra intorno mutava. Anemoni, garofani, mimose,
violette, reseda, narcisi, giacinti, giunchiglie, gelsomini, tuberose, fin dove
l’occhio giungeva, dal colle al mare, mal frenati dai muri e dalle siepi dei
giardini, i fiori straripavano come un fiume di petali dove emergevano le case e
gli alberi. Gli ulivi distendevano il loro velo d’argento, i palmizi svettavano
diritti, eccelsi come dardi scagliati nell’azzurro. Nevina volgeva gli occhi
estasiati sulle cose mai viste, dimenticava di diffondere la neve; poi l’affanno
la riprendeva, toglieva una falda, si formava intorno una zona di fiocchi
candidi e d’aria gelida che le ridava il respiro. E i fiori, gli ulivi, le palme
guardavano pur essi con meraviglia la giovinetta diafana che trasvolava in un
turbine niveo e rabbrividivano al suo passaggio.
Un giovane bellissimo, dal
giustacuore verde e violetto, apparve innanzi a Nevina, fissandola con occhi
inquieti, vietandole il passo:
- Chi sei?
- Nevina sono. Figlia di
Gennaio.
- Ma non sai, dunque, che questo non è il regno di tuo padre? Io
sono Fiordaprile, e non t’è lecito avanzare sulle mie terre. Ritorna al tuo
ghiacciaio, pel bene tuo e pel mio!
Nevina fissava il principe con occhi
tanto supplici e dolci che Fiordaprile si sentì commosso.
- Fiordaprile,
lasciami avanzare! Mi fermerò poco. Voglio toccare quella neve azzurra, verde,
rossa, violetta che chiamate fiori, voglio immergere le mie dita in quel cielo
capovolto che è il mare!
Fiordaprile la guardò sorridendo; assentì col
capo:
- Andiamo, dunque. Ti farò vedere tutto il mio regno.
Proseguirono
insieme, tenendosi per mano, fissandosi negli occhi, estasiati e felici.
Ma
via via che Nevina avanzava, una zona bigia offuscava l’azzurro del cielo, un
turbine di fiocchi candidi copriva i giardini meravigliosi. Passarono in un
villaggio festante; contadini e contadine danzavano sotto i mandorli in fiore.
Nevina volle che Fiordaprile la facesse danzare: entrarono in ballo; ma la
brigata si disperse con un brivido, i suoni cessarono, l’aria si fece di gelo; e
dal cielo fatto bigio cominciarono a scendere, con la neve odorosa dei mandorli,
i petali gelidi della neve, la vera neve che Nevina diffondeva al suo passaggio.
I due dovettero fuggire tra le querele irose della brigata. Giunti poco lungi,
volsero il capo e videro il paese di nuovo festante sotto il cielo rifatto
sereno...
- Nevina, ti voglio sposare!
- I tuoi sudditi non vorranno una
regina che diffonde il gelo.
- Non importa. La mia volontà sarà
fatta.
Avanzarono ancora, tenendosi per mano, fissandosi negli occhi,
immemori e felici... Ma ad un tratto Nevina s 'arrestò coprendosi di un pallore
più diafano.
- Fiordaprile! Fiordaprile! ... Non ho più neve!
E tentava
con le dita - invano - il fondo della cornucopia.
- Fiordaprile! ... Mi sento
morire! ... Portami al confine... Fiordaprile!... Non reggo più!...
Nevina si
piegava, veniva meno. Fiordaprile tentò di sorreggerla, la prese fra le braccia,
la portò di peso, correndo verso la valle.
- Nevina! Nevina!
Nevina non
rispondeva. Si faceva diafana più ancora. Il suo volto prendeva la trasparenza
iridata della bolla che sta per dileguare.
- Nevina! Rispondi!
Fiordaprile
la coprì col mantello di seta per difenderla dal sole ardente, proseguì
correndo, arrivò nella valle, per affidarla al vento di tramontana.
Ma quando
sollevò il mantello Nevina non c’era più. Fiordaprile si guardò intorno
smarrito, pallido, tremante. Dov’era? L’aveva perduta per via? Alzò le mani al
volto, in atto disperato; poi il suo sguardo s’illuminò. Vide Nevina dall’altra
parte della valle che salutava con la mano protesa in un addio sorridente.
Un
suo vecchio precettore, il vento di tramontana, la sospingeva pei sentieri
nevosi, verso il ghiaccio eterno, verso il regno inaccessibile del padre
Gennaio.


G. Gozzano, Nevina e Fiordaprile, 1911

1 commento:

Liliana G ha detto...

Questa storia può essere letta come metafora della "migrazione" verso l'a/Altro, verso lo sconosciuto, il non-familiare, con tutte le curiosità e le ambivalenze che questo comporta. L'incontro, se è davvero tale, è dunque cambiamento, aggiustamento, integrazione, "addomesticamento" reciproco; altrimenti, come avviene per Nevina e Fiordaprile, si è obbligati a restare distanti, a tornare ciascuno al proprio mondo interiore, nonostante l'affetto e la simpatica che lega: uno dei due rischia addirittura di svanire, scomparire, disciogliersi perchè oscurato dall'altro.
Questa storia è un testo sulla difficoltà o addirittura sull'impossibilità ad incontrarsi, qualora non ci siano certe premesse e disponibilità reciproche al cambiamento.